domenica 24 marzo 2024

Egitto trovato il busto di una statua di Ramses scoperta nel 1930

Egitto, il busto di Ramses II appena rivenuto
(Foto: finestresullarte.info)

Un team di archeologi egiziani e di ricercatori dell'Università del Colorado hanno scoperto, dopo un anno di scavi nella località di El Ashmunein, a sud della città di Minya, sulla riva occidentale del Nilo, la sezione superiore di una scultura in pietra calcarea di Ramses II, con la testa e il busto del faraone vissuto intorno al 1200 a.C. In antichità la città di El Ashmunein era conosciuta come Khemnu e in epoca greco-romana era la capitale della regione di Hermopolis Magna.
La sezione superiore, alta 3,8 metri, raffigura la testa, le spalle e la parte superiore del busto del faraone. Ramses è raffigurato con indosso la doppia corona che indica il suo dominio sia sul regno superiore che su quello inferiore dell'Egitto (Alto e Basso Egitto), mentre sulla parte anteriore della corona è visibile un cobra, simbolo della regalità.
Le scansioni preliminari del blocco di calcare hanno confermato che fa parte della statua di Ramses II portata alla luce nel 1930 dall'archeologo tedesco Gunther Roeder. Una volta unite le due parti, la statua dovrebbe raggiungere i sette metri, ha affermato il Dottor Bassem Gehad, capo della squadra egiziana che ha preso parte alla missione di scavo. 
Al momento i lavori archeologici sono concentrati sulla pulizia del volto di Ramses II. In una fase successiva, un processo di digitalizzazione sarà utilizzato per ricreare un'approssimazione dell'aspetto originale della scultura, collegando le sezioni risalenti al 1930 e al 2024 tramite l'ausilio di computer, senza compromettere l'integrità dei reperti storici.
Ramses II fu il terzo faraone della XIX Dinastia e governò dal 1279 al 1213 a.C. I ricercatori hanno spiegato che lo scavo ad Ashmunein era iniziato con lo scopo di trovare un complesso religioso che si ritiene risalga al Nuovo Regno (1550-1070 a.C.) prima di crollare durante il dominio romano dei secoli successivi.

Fonte:
finestresullarte.info
 


sabato 23 marzo 2024

Egitto, rivede la luce la mastaba di Seneb-Neb-Af e di sua moglie Idut

Egitto, i dipinti di una mastaba scoperta
nel Dahshur (Foto: MoTA)

Nella necropoli di Dahshur, in Egitto, la missione archeologica dell'Istituto Archeologico Tedesco al Cairo ha scoperto una mastaba dell'Antico Regno. La missione tedesco-egiziana, diretta dal Dottor Stephan Seidlmayer, ex direttore dell'Istituto, ha portato alla luce la tomba di mattoni di fango appartenuta a Seneb-Neb-Af e sua moglie Idut.
Il Dottor Hesham El-Leithy, attualmente Segretario Generale ad interim del Consiglio Supremo delle Antichità, ha sottolineato l'importanza di questa scoperta, quella della necropoli, venuta alla luce nel 2002.
Seneb-Neb-Af ricopriva diverse cariche all'interno del palazzo reale, tra cui quella di "amministratore degli inquilini". Sua moglie Idut era, invece, sacerdotessa di Hathor e "Signora del Sicomoro". La mastaba è stata datata tra la fine della V e gli inizi della VI Dinastia.
Di particolare rilievo sono le pareti dipinte della tomba. Queste raffigurano scene di vita quotidiana, dal mercato alla trebbiatura del grano, dalla navigazione sul Nilo alle offerte votive. Si tratta di un tipo di iconografia raramente rinvenuto a Dahshur.
La scoperta della mastaba di Seneb-Neb-Af e Idut rappresenta un importante tassello per la ricostruzione della società egiziana dell'Antico Regno. Le raffigurazioni rinvenute offrono una preziosa finestra sulla vita quotidiana dell'epoca, arricchendo il patrimonio archeologico di Dahshur nonché il quadro storico del sito, famoso per la Piramide Romboidale e la Piramide Rossa di Snefru.

Fonte:
mediterraneoantico.it

Napoli, i tesori segreti di Villa Floridiana

Napoli, Villa Floridiana (Foto: Ministero della Cultura)

I recenti lavori di restauro e consolidamento delle antiche "grotte a finte rovine" della Villa Floridiana, nel quartiere Vomero a Napoli, hanno consentito rilevanti scoperte archeologiche, in grado di far luce ulteriore sulla storia del sito.
Le scoperte sono state rese possibili grazie al progetto di ricerca NesiS (Neapolis Information System) che punta a realizzare la carta archeologica dei quartieri Bagnoli, Fuorigrotta, Soccavo, Vomero e Posillipo del Comune di Napoli.
Le grotte, risalenti al XIX secolo, rientrano nell'area di indagine del progetto a cura dei professori Marco Giglio e Gianluca Soricelli, in collaborazione con la Direzione regionale Musei della Campania e con la partecipazione di studenti dell'Università di Napoli L'Orientale che ha la finalità di verificare la presenza di preesistenze di epoca romana nella zona occidentale di Napoli.
Durante le fasi preliminari di pulizia e consolidamento delle murature, necessarie per consentire l'esecuzione di rilievi laser scanner ad alta precisione, sono emerse due distinte fasi di costruzione delle grotte. La prima fase risalente al I secolo d.C. ha restituito una serie di pilastri realizzati con blocchetti di tufo disposti in opera vittata. Tra i reperti più significativi, è stato rinvenuto un frammento di rivestimento in cocciopesto, testimonianza tangibile dell'antica arte decorativa di epoca romana.
Alla fase successiva, quando le strutture più antiche sono integrate in una sorta di finto rudere, appartengono i raddoppi dei pilastri, realizzati con blocchetti di tufo, nonché il rivestimento in pietra lavica e intonaco in finta opera reticolata.
Nella fase conclusiva dell'intervento, inoltre, sono state individuate porzioni del rivestimento ottocentesco in pietra lavica. Le attività di pulizia hanno anche restituito frammenti di materiale ceramico (cosiddetta sigillata africana, anfore ed altro).

Fonte:
quotidianoarte.com

domenica 17 marzo 2024

Turchia, gli "inviti" di Antioco I di Commagene...

Turchia, l'iscrizione di Antioco di Commagene
(Foto: AA)

Un'iscrizione trovata vicino a Kimildagi, nel villaggio di Onevler, in Turchia, può gettare nuova luce sulla storia della Commagene.
Il regno della Commagene si faceva risalire sia ad Alessandro Magno che agli Achemenidi. Il re Antioco I (69-34 a.C.) affermava di discendere da Dario I attraverso Oronte il Battriano, un ardente sostenitore di Artaserse II contro Ciro, di cui sposò la figlia.
Questo piccolo regno cercò di equilibrare la sua eredità iraniana con la realtà politica che lo faceva essere parte del mondo greco-romano. Il regno di Commagne mantenne la sua identità dal 163 a.C. fino a quando divenne parte della provincia romana di Siria nel 72 d.C.
Antioco I sostenne Pompeo contro Mitridate VI del Ponto e si definiva Filoromaios (amico dei romani). Non solo si considerava un dio, ma aspirava anche ad essere colui che era in grado di riconciliare tutte le religioni. Oltre a se stesso, le altre divinità da lui adorate erano Zeus/Ahuramazda, Apollo, Hermes, Mitra, Helios, Artagnes, Eracle, Ares. La sepoltura di Antioco I si trova sulla vetta del monte Nemrut.
Nel 2023 gli abitanti del luogo hanno scoperto una scultura in rilievo vicino a Kimildagi e l'hanno segnalata alla direzione del Museo Adiyaman. I ricercatori accorsi sul luogo hanno affermato che l'area era, un tempo, un luogo di culto. Gli archeologi hanno anche scoperto, sul posto, un rilievo raffigurante una scena in cui due individui si stringevano la mano ed una stele con iscrizioni. A causa del terreno accidentato e dei ripidi pendii rocciosi, i manufatti recuperati vennero trasportati in aereo nell'antica città di Perre. L'opera litica vennero poi studiati da Charles Crowther dell'Università di Oxford e da Margherita Facella, dell'Università di Pisa.
Nelle iscrizioni rinvenute, si legge che Antioco I dava istruzioni alla popolazione. Si tratta, per lo più, di inviti all'obbedienza ed al rispetto delle leggi. Sul retro di questa iscrizione è presente un rilievo raffigurante Antioco I e Mitridate I. Si tratta di un'iscrizione che può gettare nuova luce sia sulla storia dell'umanità che su quella della Commagene.

Fonte:
AA

sabato 16 marzo 2024

Turchia, la tavoletta in cuneiforme che richiama antiche guerre civili

Turchia, la tavoletta in lingua cuneiforme, sia hittita che
hurrita (Foto: Kimiyoshi Matsumura, Istituto giapponese
di archeologia anatolica)
Una tavoletta di argilla di 3300 anni fa, proveniente dalla Turchia centrale, descrive una catastrofica invasione straniera dell'impero hittita. L'invasione ebbe luogo durante una guerra civile, apparentemente motivata dal tentativo di aiutare una delle fazioni in guerra, almeno questo risulterebbe dalla recente traduzione del testo iscritto sia in lingua hittita che hurrita
La tavoletta, grande quanto il palmo di una mano, è stata rinvenuta nel maggio 2023 da Kimiyoshi Matsumura, archeologo dell'Istituto giapponese di archeologia anatolica, tra le rovine della città hittita di Buklukale, che si trova a circa 60 chilometri dalla capitale turca Ankara. Gli archeologi ritengono che Buklukale fosse un'importante città hittita, la nuova scoperta aggiunge che fosse anche una residenza reale, alla pari - forse - della residenza reale che si trovava nella capitale del regno hittita Hattusha.
Secondo la traduzione di Mark Weeden, professore associato di antiche lingue mediorientali presso l'University College di Londra, le prime sei righe di testo cuneiforme sulla tavoletta riportano, in lingua hittita, che "quattro città, inclusa la capitale Hattusha, sono nel disastro", mentre i restanti 64 versi sono una preghiera in lingua hittita per favorire la vittoria. Gli hittiti usavano la lingua hurrita per le cerimonie religiose, ha detto Matsumura, e sembra che la tavoletta sia la registrazione di un rituale sacro eseguito dal re hittita.
Gli archeologi ritengono che i primi regni hittiti siano comparsi nell'Anatolia centrale - attuale Turchia - intorno al 2100 a.C. e che gli hittiti assursero a grande potenza regionale nel 1450 a.C. Sia la Bibbia che le fonti egizie riportano la presenza di questo importante regno. Gli antichi Egizi si scontrarono con gli hittiti nella battaglia di Kadesh (1274 a.C.), un'antica città vicino all'odierna Homs, in Siria.
Matsumura ed i suoi colleghi stanno scavando le rovine di Buklukale da 15 anni. Finora erano state rinvenute solo tavolette di argilla in frammenti, ma quella rinvenuta di recente è quasi intatta. Inizialmente l'hurrita era una lingua parlata dai Mitanni, che occupavano la regione ed il cui regno, alla fine, divenne uno stato vassallo degli hittiti. 
La tavoletta reca una preghiera indirizzata a Teshub, nome hurrita del dio della tempesta, divinità principale sia del pantheon hittita che di quello hurrita. Nella preghiera si loda il dio ed i suoi antenati divini e si menzionano ripetutamente i problemi di comunicazione tra gli dei e gli esseri umani. Il testo, poi, elenca diversi individui che sembrano essere stati re nemici e si conclude con la richiesta di un consiglio divino.
L'impero hittita scomparve dalla storia all'inizio del XII secolo a.C., durante l'Età del Bronzo, in un periodo nel quale molte civiltà mediterranee furono scosse da disordini. Le ragioni del collasso di questa potente civiltà non sono note, ma potrebbero essere collegate a carestie causate dai cambiamenti climatici.
Matsumaura ha affermato che la tavoletta, rinvenuta e tradotta di recente, risale al regno del re hittita Tudhaliya II, tra il 1380 ed il 1370 circa a.C., quasi duecento anni prima del crollo della civiltà hittita. Sembra che il testo sia stato redatto in un periodo di guerra civile, durante il quale il regno hittita subì diverse invasioni da altrettante direzioni contemporaneamente e molte città vennero distrutte.

Fonte:
livescience.com


Parco di Marturanum, scoperta una tomba etrusca a cubo scavata nella roccia

La sepoltura etrusca a cubo rinvenuta nella necropoli
rupestre di San Giuliano (Foto: Soprintendenza Archeologia
Belle Arti e Paesaggio dell'Etruria Meridionale)
E' stata ritrovata, recentemente, una gigantesca tomba rupestre a forma di cubo nella necropoli rupestre di San Giuliano.
La necropoli ospita circa 500 tombe che vanno dal VII al III secolo a.C. e si trova nel Parco Regionale di Marturanum, vicino al comune di Barbarano Romano, nel Lazio.
La tomba rupestre a cubo è venuta alla luce dopo alcune operazioni di bonifica e rimozione della vegetazione invasiva. E' ben conservata ed era visibile solo parzialmente.
La pianta della tomba è stata definita a "semi-cubo", in cui un lato è aperto e tre sono scavati nella parete rocciosa. Si trova accanto alla Tomba della Regina, la più grande della necropoli, che risale al V secolo a.C., con la facciata alta dieci metri.
La Tomba della Regina ha scale laterali, scavate nella roccia, e due porte doriche semilavorate che conducono a due camere funerarie gemelle. Non lontano sorge la Tomba del Cervo, che presenta sopra una gradinata laterale una singolare scultura a bassorilievo con la rappresentazione della lotta tra un cervo e un lupo.
Secondo gli archeologi, nessuna necropoli etrusca conosciuta presenta una varietà e ricchezza di tipi sepolcrali come San Giuliano. La necropoli sorge sui fianchi di una rupe tufacea occupata da un insediamento stabile già durante l'Età del Bronzo. Ma è durante il VI secolo a.C. che la città di Marturanum conobbe il massimo splendore, favorita dalla posizione naturalmente fortificata sulla via che da Cerveteri conduceva ad Orvieto, fino a diventare l'avamposto della potente Tarquinia verso Roma.

Fonti:
news.artnet.com
parchilazio.it

Pompei, rinvenuto uno splendido affresco raffigurante il mito di Frisso ed Elle

Pompei, l'affresco trovato di recente negli scavi
(Foto: pompeiisites.org)
Un'incredibile scoperta di enorme valore è stata fatta durante gli scavi archeologici nella città di Pompei: un affresco dal contenuto mitologico.
E' emerso un affresco mai rinvenuto prima, che raffigura due gemelli della mitologia greca, Phrixus, figlio del re Atamante di Beozia e della ninfa Nefele, ed Helle, da cui prende il nome lo stretto di Ellesponto, in cui cadde durante la traversata insieme al fratello.
Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco Archeologico di Pompei, ha annunciato il ritrovamento, affermando che l'affresco è in ottimo stato di conservazione. "Il mito di Phrixus ed Helle è diffuso a Pompei, ma è anche di grande attualità. - Ha aggiunto Zuchtriegel. - Sono due profughi in mare, fratello e sorella, costretti a fuggire perché la matrigna Ino vuole liberarsi di loro e lo fa con l'inganno e la corruzione".
L'affresco presenta colori vividi e raffigura proprio la caduta di Helle nelle acque, mentre tende una mano verso Phrixus in cerca di aiuto. L'affresco, che raffigura i due fratelli in fuga sul manto dorato di Crisomallo, un ariete alato, è stato rinvenuto durante i lavori di restauro in corso nei pressi della Domus di Leda. E' inserito tra le decorazioni di IV stile che ricoprono le pareti di fondo.
Gli archeologi hanno trovato anche altri dipinti nella casa, molti dei quali raffiguranti figure femminili. Nell'atrio sono situati dei pannelli gialli e rossi segnati da finta architettura, con al centro quadri mitologici - uno con Narciso è emerso già nel 2018 - mentre nel tablino e nei cubicoli si preferisce lo sfondo bianco con elementi naturalistici come uccelli, vedute di alberi e paesaggi marini.
Le opere saranno ripulite dalla cenere vulcanica e successivamente restaurate. Un affresco scoperto sempre nel 2018, quello di Leda e il cigno, si trova ancora sepolto per metà sotto le rovine ed è in attesa di essere restaurato.

Fonte:
pompeiisites.org


Celleno, emergono inaspettatamente i resti di una chiesa dedicata all'Arcangelo Michele

Celleno, frammenti della chiesa di San Michele
Arcangelo (Foto: viterbotoday.it)

Sorprendente scoperta a Celleno, dal borgo fantasma in provincia di Viterbo, riemerge l'antichissima chiesa di San Michele Arcangelo. Uno spazio sacro di cui, finora, si avevano solo frammentarie notizie attraverso documenti di archivio che parlano di una chiesa, o meglio di una cripta, annessa a quella di San Donato, attualmente oggetto di interventi di consolidamento.
Durante gli scavi è emersa, inaspettatamente, una chiesa inferiore, con un'altezza di almeno 5 metri. I documenti di archivio e gli archeologi impegnati nello scavo pensano che questa chiesa avesse un ingresso separato con accesso dal versante nord. Già alla fine dell'Ottocento, però, il vescovo fece chiudere questo spazio sia perché destinato ad usi impropri, sia per la difficoltà di accedervi.
Nel 1944 se ne perdono ufficialmente le tracce: la chiesa madre crollò, anticipando di pochi anni il destino di tutto l'antico insediamento di Celleno. Seguì un lungo periodo di oblio e di saccheggi, ma negli ultimi anni l'amministrazione comunale ha intrapreso un'azione di recupero e valorizzazione, cercando di salvare quanto possibile della chiesa di San Donato. Nel corso di queste operazioni, la scoperta da parte di architetti ed archeologi dell'antichissima cripta di San Michele Arcangelo.
Lo cavo archeologico è diretto dalla società di ingegneria Alma Civita Studio insieme all'Università della Tuscia. Alla notizia della chiesa inferiore si affiancano ritrovamenti di materiali lapidei di pregevole fattura scultorea, alcuni dei quali del periodo longobardo.
Celleno sorge su uno sperone tufaceo di 341 metri s.l.m. Il suo castello è documentato dal 1026, quando l'imperatore Corrado II il Salico concesse il feudo ai Conti di Bagnoregio. Il sito venne progressivamente abbandonato a partire dalla fine dell'Ottocento, a causa di ripetute epidemie e terremoto e per l'instabilità dei pendii.

Fonte:
viterbotoday.it
storiearcheostorie.com

Bibione, riemergono parti nascoste dell'antica villa romana di Mutteron dei Frati

Bibione, i mosaici emersi dagli scavi nella villa romana
di Mutteron dei Frati (Foto: veneziatoday.it)

Lo scavo archeologico della villa romana di Mutteron dei Frati, situato all'interno della Valgrande di Bibione, continua a rivelare tesori. Sta emergendo, infatti, un patrimonio inestimabile: secondo gli archeologi, la testimonianza meglio conservata degli insediamenti che dovevano trovarsi lungo il litorale Alto-Adriatico in epoca romana.
Dopo qualche settimana - gli scavi sono iniziati a fine febbraio - si sta evidenziando che la zona residenziale della villa romana è decisamente più estesa di quanto si pensasse inizialmente. Lo testimoniano i nuovi ambienti riportati alla luce dagli studiosi guidati da Dirk Steuernagel e Alice Vacilotto dell'Università di Regensburg e da Maria Stella Busana dell'Università di Padova, con la supervisione della Soprintendenza e il sostegno di proprietà e affittuario della valle.
Nuovi reperti musivi sono stati ritrovati in una delle quattro aree oggetto di scavo, tutte localizzate ad ovest rispetto al sito precedentemente noto; da programma le zone previste erano tre, ma le anomalie del terreno segnalate dalle prospezioni geofisiche hanno portato ad un ampliamento delle indagini.
Ritrovati diversi materiali tra cui un coltello e una serie di monete, particolarmente interessanti perché in grado di confermare la presenza umana nel sito in epoca tardoantica.
L'esistenza del sito è nota fin dalla metà del Settecento. La sua rilevanza è stata segnalata a più riprese, prima dall'avvocato concordiese Dario Bertolini (inizi '800) e poi da Aulo Gellio Cassi (anni '30 del Novecento), un latisanese a cui si deve il primo scavo nell'area di Mutteron dei Frati.
Nell'area, attualmente ricoperta da bosco, sono presenti alcune dune costiere fossili, in quanto in epoca romana si trovava sulla linea di costa, mentre attualmente dista 1,5 chilometri da essa, a causa del progressivo accumularsi dei sedimenti trasportati dai fiumi.
Il nome Mutteron dei Frati deriva dal fatto che in passato gli abitanti del posto pensavano che il sito avesse ospitato un antico convento di frati, a causa dei ritrovamenti di sferette perforate in terracotta, scambiate per grandi di rosario, ma che in realtà erano pesi da rete utilizzati in epoca romana per pescare.

Fonti:
veneziatoday.it
ecomuseoaquae.it

domenica 10 marzo 2024

Turchia, un antico pezzo di pane rinvenuto tra le rovine di Catalhoyuk

Turchia, gli scavi di Catalhoyuk (Foto: aa.com.tr)

Un pezzo di pane risalente a 8600 anni fa è stato ritrovato in una struttura simile ad un forno a Catalhoyuk, nella Turchia centro-meridionale, uno dei primi luoghi al mondo in cui sono stati registrati insediamenti urbani.
Si è stimato che Catalhoyuk vivessero circa 8.000 persone durante il Neolitico. Nel cosiddetto "Spazio 66" è venuta alla luce una struttura simile ad un forno, tra case in mattoni con tetti interconnessi ai quali si accede dall'alto. In realtà, hanno scoperto gli archeologi, si trattava di una struttura che fa pensare ad una sorta di forno comunitario per la cottura di alimenti, ipotesi suffragata anche dal ritrovamento di alcuni pezzi di materiale incombusto. Vicino al forno, gravemente danneggiato, è stato trovato un manufatto grande quanto un palmo, contenente semi di grano, orzo e piselli, probabilmente utilizzato come cibo. Analisi condotte presso il Centro di ricerca e applicazione della scienza e della tecnologia dell'Università Necmettin Erbakan di Konya, hanno rivelato che il residuo spugnoso era, in realtà, quanto rimaneva di un pezzo di pane lievitato risalente al 6600 a.C.
Il pane trovato a Catalhoyuk (Foto: Centro di Ricerca e 
Applicazione di Scienza e Tecnologia dell'Università
di Necmettin Erbakan)
La sottile copertura di argilla che ha protetto il pane, lo ha preservato assieme a tracce di legno, consentendo a tutti i residui organici di arrivare fino ai giorni nostri. I primi esempi di pane lievitato sono stati rinvenuti in Egitto ma quello di Catalhoyuk può ben dirsi il pane più antico del mondo, anche se il record, almeno per ora, spetterebbe ad un analogo reperto trovato recentemente in Australia (34000 anni) che ha battuto in termini di longevità una focaccia di 14000 anni fa, prodotta da cacciatori raccoglitori. Ma queste farine cotte non erano fermentate, mentre il pane anatolico era lievitato. Si tratta di una versione in miniatura di una pagnotta di pane. Non era mai stato rinvenuto un reperto simile. Già durante i primi anni di scavo a Catalhoyuk furono scoperti i primi tessuti del mondo ed anche manufatti in legno.
L'analisi di laboratorio ha dimostrato che il reperto è un impasto che presenta residui di cereali. Il ritrovamento di pezzi macinati o rotti appartenenti a piante quali l'orzo, il grano ed i piselli ha, inoltre, rafforzato la possibilità che il reperto fosse proprio una sorta di pane. Naturalmente sono necessarie altre analisi chimiche per confortare questa prima ipotesi.

Fonti:
aa.com.tr
stilearte.it

Spagna, trovata un'antichissima necropoli in una grotta

Spagna, teschio proveniente dalla Cova deis Xaragalls,
vicino a Barcellona (Foto: Antonio Rodriguez-Hidalgo,
Instituto de Arqueologia de Mérida)

A partire da circa 7000 anni fa, gli esseri umani che vivevano nella Spagna nordorientale usavano seppellire i loro morti nelle profondità di una grotta, dando luogo ad una sorta di necropoli che ha ospitato defunti per circa quattro millenni e nella quale sono state rinvenute più di 7.000 ossa.
La Cova del Xaragalls (Grotta dei burroni) era un "luogo di sepoltura collettivo", secondo l'archeologo Antonio Rodrìguez-Hidalgo, ricercatore dell'Istituto catalano di paleoecologia umana ed evoluzione sociale e dell'Istituto di archeologia di Merida.
Le persone venivano sepolte in tombe comuni all'interno della grotta già durante il Tardo Neolitico e nella Nuova Età della Pietra, sebbene la maggior parte delle ossa appartenga a defunti vissuti nel Calcolitico e in tutta l'Età del Bronzo.
Un'analisi dei corredi funerari sepolti con i morti - ceramiche, strumenti in selce e collane - suggerisce che gli individui di alto rango venivano sepolti singolarmente nel Tardo Calcolitico e nell'Età del Bronzo, mentre le sepolture comuni erano appannaggio dei ranghi più bassi della popolazione.
Uno dei crani di un individuo vissuto nell'Età del Bronzo presenta un foro realizzato mediante trapanazione. Sembra che questo individuo soffrisse di diverse malattie e la trapanazione potrebbe essere stata un tentativo di cura. L'individuo (ancora non si sa se maschio o femmina) non sopravvisse all'intervento dal momento che non è stata trovata traccia di rigenerazione ossea nel foro. Questo è l'unico cranio con segni evidenti di trapanazione trovato finora nella Cova del Xaragalls.
Il sito archeologico è stato scavato più volte nel corso del XX secolo e nel 2008. Gli ultimi scavi hanno rivelato la presenza di ossa di capre selvatiche e carbone in parte della grotta, elementi datati a 45000 anni fa. All'epoca questa regione era abitata dai Neanderthal. I paleoantropologi pensano che esseri umani anatomicamente moderni - l'Homo Sapiens - abbiano sostituito i Neanderthal in tutta Europa circa 40.000 anni fa, anche se indagini genetiche hanno dimostrato che i due gruppi umani si sono, a volte, incrociati tra loro.

Fonte:
livescience.com

Egitto trovato il busto di una statua di Ramses scoperta nel 1930

Egitto, il busto di Ramses II appena rivenuto (Foto: finestresullarte.info) Un team di archeologi egiziani e di ricercatori dell'Univers...